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29.03
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Dalla serie "L'infinito commestibile"
Una performance lunga un anno, 2018
China su carta cm 30x40
L'opera si presenta senza cornice,
ma è dotata dello sfondo a quadretti bianchi e rossi
adatto all'allestimento con o senza cornice.
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L’INFINITO COMMESTIBILE di Marco Di Giovanni
A partire dal 18 Maggio 2014 (giorno della sua nascita) e per un anno intero, fino al 18 maggio 2015, Marco Di Giovanni ha disegnato, su carta da bechéri (macellai), tutto quello che ha mangiato e bevuto, tranne l’acqua.
Ogni foglio è datato e può facilmente capitare che in un’unica giornata, poiché l’uomo è di robusto appetito, si sia dovuto produrre anche otto o dieci immagini.
Il risultato è uno straordinario display di una calendarizzata estenuante fatica.
Nelle tavole di Di Giovanni non emerge mai, né visivamente, né metaforicamente, il senso del disgusto. Il cibo è connotato nella sua accezione ludica, gioiosa, rinfrancante, vitale, persino appagante dal punto di vista estetico. L’artista si è imposto il termine perentorio di un anno per definire ciò che per lui è “il corpo artistico”.
L’assunzione del cibo è una fase necessaria per l’eroe (l’artista), perché senza di questo l’eroe non potrebbe compiere le sue gesta (produrre arte). Di Giovanni ritorna con questa sua performance, al mito eponimo dell’Uomo che scopre se stesso come veicolo di cultura e civiltà. Rappresentare il cibo, come veicolo indispensabile per raggiungere la perfezione significa dare al cibo una connotazione culturale di profonda densità semantica.
Il cibo cotto è l’evoluzione nella civiltà del cibo crudo. Il fuoco e la cottura dei cibi sono allegorie dell’avvenuto passaggio da uno stato di “primitivismo consapevole” a uno di piena coscienza della propria missione nella Storia.
Di Giovanni assolve quindi a un duplice compito: quello di rappresentare per noi il simbolo del nostro riscatto culturale e quello di rendere conto delle condizioni di vita del suo promotore. L’arte è un culto dell’Occidente moderno e l’artista è il suo sacerdote.
Cristiana Curti
A partire dal 18 Maggio 2014 (giorno della sua nascita) e per un anno intero, fino al 18 maggio 2015, Marco Di Giovanni ha disegnato, su carta da bechéri (macellai), tutto quello che ha mangiato e bevuto, tranne l’acqua.
Ogni foglio è datato e può facilmente capitare che in un’unica giornata, poiché l’uomo è di robusto appetito, si sia dovuto produrre anche otto o dieci immagini.
Il risultato è uno straordinario display di una calendarizzata estenuante fatica.
Nelle tavole di Di Giovanni non emerge mai, né visivamente, né metaforicamente, il senso del disgusto. Il cibo è connotato nella sua accezione ludica, gioiosa, rinfrancante, vitale, persino appagante dal punto di vista estetico. L’artista si è imposto il termine perentorio di un anno per definire ciò che per lui è “il corpo artistico”.
L’assunzione del cibo è una fase necessaria per l’eroe (l’artista), perché senza di questo l’eroe non potrebbe compiere le sue gesta (produrre arte). Di Giovanni ritorna con questa sua performance, al mito eponimo dell’Uomo che scopre se stesso come veicolo di cultura e civiltà. Rappresentare il cibo, come veicolo indispensabile per raggiungere la perfezione significa dare al cibo una connotazione culturale di profonda densità semantica.
Il cibo cotto è l’evoluzione nella civiltà del cibo crudo. Il fuoco e la cottura dei cibi sono allegorie dell’avvenuto passaggio da uno stato di “primitivismo consapevole” a uno di piena coscienza della propria missione nella Storia.
Di Giovanni assolve quindi a un duplice compito: quello di rappresentare per noi il simbolo del nostro riscatto culturale e quello di rendere conto delle condizioni di vita del suo promotore. L’arte è un culto dell’Occidente moderno e l’artista è il suo sacerdote.
Cristiana Curti